Cobol Pongide intervista esclusiva per ciclonews

Cobol Pongide intervista con un degli autori di Ufociclismo

Cobol Pongide intervista con un degli autori assieme a Daniel Vasquez di Ufociclismo, musicista innovativo 

Cobol Pongide
Cobol Pongide

Cobol Pongide intervista esclusiva per ciclonews.biz ad uno degli autori assieme a Daniel Vasquez del libro UfoCiclismo. Atlante tattico ad uso del ciclista sensibile di cui vi abbiamo parlato qualche settimana fa. Cobol Pongide è sicuramente una persona interessante ed alternativo (oltre che un cantante alternativo) che abbiamo avvicinato per una interessante intervista ad un recente concerto.

Ciao Cobol, anzitutto grazie per questa intervista.

Ciao Ragazzi, grazie a voi per questo spazio che dedicate a me e che avete dedicato al libro Ufociclismo

C’è un forte legame musica e spazio, molti cantanti ne parlano? Il tuo modo è molto originale, c’è qualche band o cantante che ti ha ispirato?

Si la musica contemporanea si è rivolta molte volte verso il cosmo, spesso in una chiave utopica, come una sorta di “terra promessa” o luogo su cui rifondare l’umanità.
C’e’ poi tutto un filone “space” che va dal pop al rock fino all’elettronica che s’ispira costantemente allo spazio. Gli inglesi Hawkwind ad esempio ma anche molte cose del primo Franco Battiato.
Il mio approccio allo spazio proviene invece più dalla fantascienza che dalla musica. Molti anni fa lessi un’intervista a Frank Black dei Pixies che evocava per la propria produzione musicale tutto l’immaginario dei b movie americani di fantascienza degli anni Cinquanta. Anche quell’intervista mi fu d’ispirazione ma preferisco farmi illuminare dalla fantascienza letteraria di Dick, Lem e Heinlein.

Sul palco presenti tanti “giocattoli”, qual è il tuo preferito?

Tra i giocattoli che utilizzo per comporre la mia musica quelli che preferisco sono un po’ tutte le tastierine giocattolo degli anni Ottanta. Amo quelle che in gergo vengono definite le squarewave, tastierine a onda quadra. Amo moltissimo il Commodore 64 come strumento musicale (anche se non si tratta propriamente di un giocattolo) e sono un cultore di due vecchie tastierine della Casio: la Vl 1 e Sa5. Bellissime sono anche le Bontempi sempre degli anni Ottanta con i loro improbabili suoni che tentavano di riprodurre strumenti tipo il pianoforte, il benjo e i fiati ottenendo improbabili rumori.
Per molti anni il cantante dei Cobol Pongide è stato Emiglino (la versione miniaturuizzata del tanto amato robot Emiglio). Con Emiglino abbiamo trascorso bei momenti ma adesso lui ha intrapreso un’altra strada.

Parliamo di UfoCiclismo, parlaci di questo modo di vedere il mondo e il cosmo

Cobol Pongide: Ufociclismo!
Cobol Pongide: Ufociclismo!

Per comprendere l’UfoCiclismo bisogna partire dal cosiddetto ciclismo urbano sia come pratica quotidiana di spostamento nelle città che come attitudine all’esplorazione di luoghi che non ci sono familiari. L’UfoCiclismo nasce a Roma che è una città molto estesa con spazi spesso marginali se non addirittura dimenticati.
Con l’UfoCiclismo cerchiamo di coniugare la voglia di esplorare il tessuto urbano in biciclettta  con il desiderio d’innescare incontri (con esseri umani e non) in uno spazio, la città, che sembra svilupparsi sempre più per produrre isolamento e rabbia. Basti pensare alla condizione di chi vive costantemente in automobile in mezzo al traffico: incastrato, isolato, rabbioso e frustrato.
La bicicletta è un mezzo perfetto per riconquistare lo spazio perché gode di molti gradi di libertà rispetto ad altri mezzi d’esplorazione. Alcuni ricercatori come Alan Watts ad esempio descrivono la meccanica di movimento degli oggetti volanti non-identificati (UFO) in termini che ricordano molto il modo di manovrare una bicicletta e i sui gradi di libertà.
Questa riconquista avviene sia sensorialmente riabituandosi a percepire lo spazio e le persone nella lora totalità che incidendo simbolicamente sui luoghi mediante mappature alternative. La mappa è una rappresentazione simbolica dello spazio che diventa il software con cui il nostro cervello percepisce i luoghi. Le mappature satellitari hanno reso tale software ancora più rigido e spersonalizzato. Direzioni di marcia, luoghi inaccessibili, divieti, prescrizioni, rendono lo spazio urbano sempre più una somma di anonimi vettori che attraversiamo guidati da un computer (il telefono) istruito da un satellite.
Con l’UfoCiclismo abbiamo cercato di creare strumenti per redigere mappe alternative in cui al centro della quotidianità non ci siano solo più strade e tragitti consigliati: mappe sensoriali. Tali strumenti sono profondamente influenzati dal modo che ha il ciclista di guardare lo spazio che attraversa. Siamo partiti dalla psicogeografia, una scienza o se si preferisce una tecnica che ha lo scopo di ridescrivere empaticamente lo spazio urbano. Questo anche grazie ai preziosi contributi dell’Associazione Psicogeografica Romana.
Nella loro versione più analitica gli strumenti dell’UfoCiclismo  tentano di predire l’esistenza di luoghi in cui il contatto tra terrestri e extraterrestri (che per noi rappresentano l’alterità più estrema rispetto all’attuale forma del mondo) possano incontrarsi per dare forse vita ad un ecosistema alternativo o comunque diverso.

Come pensi possa evolvere questa pratica?

Al centro dell’UfoCiclismo c’e’ l’esplorazione urbana. Ci incontriamo di notte, in giorni astronomicamente significativi e con la bicicletta ripercorriamo le cosiddette ley line (traettorie) degli oggetti volanti non identificati. Le nostre ricognizioni finiscono generalmente in luoghi all’aperto, lontano dall’inquinamento elettromegnetico della città dove fare skywatching, improvvisare feste e cimentarci in picnic vegan in attesa dell’arrivo di visistatori extraterrestri. Se quest’ultimi arrivano banchettiamo con loro altrimenti (come sempre avviene) si mangia e si discute in allegria tra i convenuti.
Chiunque può unirsi a noi ma per sua natura si tratta di una pratica che richiede l’assenza di xenofobie, fascismi interiori ed esteriori e una certa vocazione alla socializzazione e al confronto con l’alterità.
Non ci poniamo un obbiettivo specifico per l’UfoCiclismo quindi non direi che ci aspettiamo che evolva in qualche direzione.  Non siamo neanche necessariamente interssati al fatto che sempre più persone prendano parte alle nostre ricognizioni. Spesso si uniscono a noi ciclisti che vogliono fare un’esperienza diversa e che poi magari per impegni o altre circostanze non tornano più.
Ti direi che siamo interessati più a una questione d’egemonia nel senso che vorremo che l’attitudine a ridescrivere le pratiche (siano esse il ciclismo, l’ufologia, il calcetto, il modo di relazionarsi ai colleghi del lavoro, il rapporto con i figli, il rapporto giovani anziani, il rapporto tra sessi, quello tra  cittadini/stato o quan’altro ti possa venire in mente) fosse costantemente sottoposto ad una critica radicale attiva simile a quella a cui noi sottoponiamo la bicicletta, lo spazio urbano e il senso per nuove forme di socialità. Noi cerchiamo di fare la nostra parte partendo dalla bicicletta.

Cobol Pongide pensa che possano crearsi comunità UfoCiclistiche in tutta italia?

L’atlante che con Daniele abbiamo scritto e che è la raccolta degli strumenti dell’UfoCiclismo ha proprio lo scopo di cercare di far uscire l’UfoCiclismo dagli ambienti in cui è nato e in cui si sente più a suo agio. Per dirlo con un’espressione alla moda: vogliamo uscire dalla nostra zona di comfort.
Più che alla costruzione di comunità UfoCiclistiche (che speriamo si formino spontaneamente) siamo interessati all’espansione del ciclismo urbano. Ma non basta. La bicicletta è un mezzo privilegiato per ridescrivere il mondo ma bisogna vederla inserita in un sistema più ampio fisico e simbolico di costituzione di nuove pratiche umane. Ti faccio un esempio che a me sta particolarmente a cuore.
I ciclisti urbani denunciano spesso di essere i predati in un mondo di aggressivi predatori fatti di lamiere e olii combustibili fossili. Questa è la realtà, come molti direbbero, sopratutto in Italia.
Allo stesso modo ho incontrato molti ciclisti urbani con una forte sensibilità rivolta verso quei popoli massacrati e ridotti in schiavitù da sistemi di dominio. Ti potrei dire che tra i ciclisti urbani esiste una sensibilità per queste inguistizie sicuramente superiore alla media, come lo è ad esempio per l’ecologia.
Però molti ciclisti urbani accettano acriticamente il loro ruolo di predatori quando si tratta di nutrirsi di animali costretti e torturati in un sistema di sfruttamento intensivo e crudele.
Non si può essere solidali con i più deboli solo quando questi appartangono alla propria specie. Questo tipo di sensibilità va estesa a tutti i viventi facenti parte dell’anello debole: altrimenti si tratta di specismo che a suo modo è una forma di razzismo.
Era solo per fare un esempio. Non tutti gli UfoCiclisti sono vegan, vegetariani o animalisti. L’importante è avere presente che la bicicletta non è un fine ma un mezzo in contatto con altri mezzi che complessivamente fanno lo scopo.
Non si può pensare che basti la bicicletta a migliorare la vita delle persone. La bicicletta è un ottimo inizio. Noi diremmo addirittura un inizio privilegiato.
Questo è il motivo che ci spinge a coniugare ciclismo e ricerca di un contatto con altre forme di vita.

La “deriva” più entusiasmante a cui ha preso parte Cobol Pongide?

Tutte le derive sono bellissime. Anche nel solo incontrare persone nuove che per la prima volta si uniscono agli ufociclisti “di lungo corso” c’e’ qualcosa di veramente entusiasmante.
Le derive che ricordo con più emozione sono quelle della scorsa estate in cui siamo riusciti a realizzare un progetto che avevamo da tempo in cantiere. Grazie alla complicità di Radio Città Aperta abbiamo realizzato due puntate sperimentali di una trasmissione radiofonica che coniugava intrattenimento su argomenti per noi urgenti (e ovviamente anche proposte musicali) con le derive in bicicletta. Due o più squadre di ciclisti si muovevano sul territorio romano tenendosi in contatto con la radio. Le squadre man mano che esploravano il percorso scelto trasmettevano in diretta impressioni, descrizioni e incontri. Il tutto veniva rimasticato e trasmesso dalla studio che inseriva interventi telefonici con gli ascoltatori, con curiosi ed esperti. Il tutto è ascoltabile in podcast sul nostro sito.
L’obiettivo era quello di rendere pubblica la comunicazione tra le due squadre di ciclisti invitando gli ascoltatori ad uscire di casa per unirsi agli esploratori. Inoltre durante le derive venivano messe in pratica della zioni disordinanti, provocatorie, per lasciare un segno e sensibilizzare la città verso l’uso della bici.
Tutto molto bello. Quest’anno stiamo tentando di rifarlo.

Abbiamo recensito il libro che hai scritto con Daniel Vazquez, possiamo definirlo il Manifesto UfoCiclistico Italiano?

Si sicuramente. Un manifesto e una cassetta degli attrezzi temporanea, sempre passibili di essere ridiscussi. D’altro canto, ad esempio, gli strumenti noi li forgiamo sul campo e quindi è inevitabile che essi progrediscano e si trasformino.
Nella sua introduzione Giorgio de Finis ha provocatoriamente definito l’UfoCiclismo una religione. Credo si riferisse alla sua vocazione partigiana, ovvero dello stare e schierarsi da una parte invece di pensare che tutto sia fungibile e uguale.
Ci piacerebbe si aprisse un dibattito su quanto abbiamo scritto e su quanto gli UfoCiclisti propongono per far ripartire il versante della critica sociale che oggi è poco praticata. Non solo con i ciclisti. Quanto sosteniamo è applicabile anche a modi diversi di vivere ma l’essere ciclisti aiuta sicuramente a comprenderlo meglio dato il punto di vista che la bicicletta ti porta ad avere.
Come UfoCiclisti organizzaimo periodicamente un convegmo che ha il nome di Mars Beyond Mars e che ha lo scopo di ragione più in generale sull’ecosistema cosmo. Il prossimo sarà a ottobre prossimo al Macro di Roma e per l’occasione ci saranno anche opere d’arte di artisti chiamati a ragionare su questi argomenti.
Potrei spendere molte parole nel tentativo di spiegarlo, ma per un ciclista il fatto che tra la nostra ecosfera e il cosmo non esista soluzione di continuità è un dato sensibile assodato: percettivamente scolpito sulla propria pelle. In questo risiede la magia della bicicletta e tra l’altro l’interessamento della vostra rivista all’argomento ce lo conferma. E per questo vi ringraziamo.
Siamo coscenti che l’aver scelto un nome in cui all’interno compare la parola UFO rischia di depotenziare la nostra proposta rendendola per alcuni connessa al mondo del becero esoterismo o dell’ufologia d’accatto. Questo punto di vista è profondamente sbagliato. Noi ci riferiamo all’UFO inquanto oggetto non identificabile virtualmente capace di definirsi in modo alternativo rispetto alle convenzioni. Guardiamo il cielo e costantemente vediamo oggetti non identificabili che lo percorrono e ciò ci dice che un altro futuro, un futuro non già scritto, è possibile.

Come vede Cobol Pongide il concetto di mobilità nel 2030 in europa e nel mondo?

Personalmente non credo che il ciclismo urbano sia la soluzione alla mobilità tout court. Può sembrare paradossale per un ciclista ma per me la bicicletta è più una pratica rivoluzionaria che una soluzione definitiva alla mobilità. La bicicletta è parte della soluzione ma sopratutto è un mezzo per la ricerca delle alternative: qualcosa che ci predispone cognitivamente alla ricerca di nuove strade da percorrere. Non credo in generale che la soluzione sia nei mezzi privati (ma neanche nello sharing ciclistico). Su questo ho forse una posizione estrema perché credo che nulla che occupi lo spazio pubblico, case automobili e quant’altro, dovrebbe essere privato.
Credo che la soluzione sia nel trasporto pubblico ovviamente migliorato in termini di resa energetica. Magari in molte città questa cosa non è così lampante ma a Roma gli effetti della mancanza di un sano servizio di trasporto pubblico rende questa visione particolarmente chiara. Difficile fare un discorso sul mondo. Mentre in europa si discute di come trasformare la mobilità ci sono altre region idella terra che ragionano su come raggiungere lo stadio di psuedo benessere in cui l’europa automobilistica s’e’ fino a un decennio fa crogiolata.
Ti direi che dobbiamo sbrigarci a inventare il teletrasporto.

Segui il ciclismo professionistico?

No. Tra l’altro faccio molti chilometri in bici ma sono un super pigro. Vedere i ciclisti sportivi m’impressiona perché nel mio piccolo comprendo bene le fatiche a cui sono sottoposti. Non seguo il ciclismo perché non sono uno sportivo; oppure lo sono, in quanto ciclista urbano, mio malgrado.
Quando ho guardato del ciclismo professionistico mi ha sempre fatto riflettere che il ciclismo sportivo è praticato in luoghi straordinari ma che il ciclista impegnato nello sforzo e nella competizione probabilmente non ne gode affatto. Questo un po’ mi dispiace perché come ho detto per me la bici è prioritariamente una pratica di riappropriazione degli spazi. Ma ciò temo valga per tutti gli sport agonisti praticati all’aperto.

 Se si hai un ciclista preferito?

Ti direi Coppi ma per ragioni ideologiche. No scherzo. Ho seguito un po’ le vicende di Omar Di Felice che mi pare sarebbe adatto a guidare una squadra UfoCiclistica su Marte. Lo volevamo anche invitare a parlare a un Mars Beyond Mars di ciclismo estremo e viaggi nel cosmo ma ci siamo trattenuti dal farlo. Per il momento…