Doping: il buco nero del covid19?
Doping ai tempi del coronavirus, un’esplosione?
Doping: l’epidemia di Covid19 ha inevitabilmente ridotto il numero dei controlli sugli atleti, questo potrebbe creare un preoccupante buco nero
Doping ai tempi del Covid19: il lockdown forzato ha quasi certamente modificato la vita di molti cicloamatori e sicuramente ha stravolto la abitudini e il calendario dei professionisti ma uno dei problemi più inquietanti riguarderebbe la diffusione del doping.
Il rischio di contagio ha bloccato moltissime attività economiche, le scuole, le relazioni sociali e, va detto, anche i controlli antidoping. Non è un’opinione personale ma è stato lo stesso presidente dell’Unione Ciclistica Internazionale, David Lappartient, che ha recentemente ammesso come i test antidoping siano diminuiti di circa il 95%. Il dato va ancora confermato da parte dell’UCI ma la WADA non ha smentito i numeri aumentando la preoccupazione negli amanti del “ciclismo pulito”.
Un calo così sensibile dei controllo è certamente visto con preoccupazione da molti in quanto una “potenza di fuoco” di soli 5% dei controlli pre-covid è certamente inadeguata per combattere una delle piaghe del ciclismo e, anzi, potrebbe essere un “liberi tutti” per chi volesse imbrogliare.
Il grido d’allarme è stato lanciato anche da due volti noti del pedale come Martin e Kittel che hanno lanciato il loro grido sul rischio di un “Pericolo doping con il coronavirus”
“C’è un pericolo potenziale dovuto al numero ridotto di controlli – ha spiegato Martin – ma spero che prima dell’inizio delle competizioni si possano effettuare i test e poi che l’attività riprenda regolarmente. In questo modo potremmo pensare al ciclismo pulito”.
. Nelle ultime settimane, Tom Dumoulin, Romain Bardet, e Thibaut Pinot hanno rivelato di non essere stati testati da un po ‘di tempo (Pinot non viene testato dall’ottobre 2019!): Pensare che controlli così ridotti possano essere efficaci è chiaramente utopistico!
Una ammissione del calo drammatico (e purtroppo prevedibile) dei controlli è arrivato anche dall’organo antidoping dell’UCI , il CADF che ha ammesso come il 15 marzo sia stato uno spartiacque sul numero dei controlli.
Sul tema è intervenuto anche Robin Parisotto, ex componente del CADF per il programma del passaporto biologico, che ai microfoni di cyclingnews si è detto preoccupato sulla possibilità che in assenza di controlli il ricorso al doping possa crescere in modo esponenziale:
“un programma che lavoro al 5% delle sue potenzialità non ha valore, è una perdita di tempo perché così pochi ciclisti risulterebbero positivi. Non può esistere un programma di test con un calo del 95% dei controlli”.
Numeri così bassi, non occorre essere un esperto di statistica per comprenderlo, risultato del tutto inefficaci per combattere una piaga profonda nel mondo dello sport e, potrebbero, come dette, essere uno “sprone” a chi vuole imbrogliate. Chiaramente questa situazione non è dettata dalla volontà di aprire al doping ma le conseguenze, seppur senza un reale colpevole, potrebbero essere devastanti.
Ovviamente nessuno, anche in questa fase, ha la certezza di essere esente da controlli ma certamente per il calcolo delle probabilità è molto più facile farla franca in questo stato di riduzione drammatica dei controlli. Di contro va detto che la riduzione della libertà di movimento può rendere più difficile commercializzare e entrare in possesso di sostanze vietate.
Le conseguenze del buco nero che si è creato è quello che anche i dati legati al passaporto biologico degli atleti possano essere meno attendibili: il passaporto è un deterrente ma ora che si sa che i controlli non ci sono il potere di questo strumento è inevitabilmente ridotto.
Se l’UCI è stata pronta a rivedere il calendario delle corse per non perdere l’intera stagione 2020, ora ci si attende che possa trovare un valido “piano B” per riprendere con i controlli sugli sportivi per non rischiare di fare passi indietro che possano minare la credibilità (già messa a dura prova in passato) del ciclismo mondiale.
L’Agenzia mondiale antidoping ha emanato, va detto, delle direttive rivolte alle agenzie nazionali e alcuni esperti non credono che il rallentamento dei controlli sia automaticamente legato al “ritorno all’imbroglio”: Olivier Niggli dell’agenzia antidoping Svizzera, sostiene che uno sportivo che assumesse doping oggi “non ne trarrebbe un grande vantaggio, non basta infatti sedersi sul divano e prendere una pastiglia”.