Ausilia Vistarini intervista esclusiva di Ciclonews

Ausilia Vistarini (fonte profilo Instagram)

Ausilia Vistarini (fonte profilo Instagram)

Ausilia Vistarini olto noto del ciclismo “estremo” italiano intervista esclusiva per ciclonews.biz 

Ausilia Vistarini intervista in esclusiva a Ciclonews. Con orgoglio ospitiamo Ausilia, volto noto del ciclismo “estremo” italiano e mondiale.

Ausilia Vistarini chi è?

Ausilia ha attraversato i deserti di Marocco, Libia e Giordania con Women Desert Ride, le steppe aride di Senegal e Mali, ha corso le tre più lunghe randonnee europee: Paris-Brest-Paris di 1200 km, London-Edimburgh-London di 1400 km e la 1001Miglia di 1600km. Ha preso parte al Naturaid Marocco di 700km. Ha vinto il mondiale di 24ore in mtb nel 2008 a Rupholding in Germania. Ha vinto nel 2009 e 2010 il circuito italiano di 24ore mtb correndo con una bici singlespeed.

Ciao Ausilia, anzitutto grazie per la tua disponibilità, ci racconti come è nata la tua passione per il ciclismo? Da quanto tempo vai in mtb e come hai cominciato?

Ciao ragazzi e grazie a voi per questo spazio,  ho 46 anni e mi sono avvicinata al ciclismo tardi, dopo l’università e dopo un periodo in cui mi sono dedicata al free climbing, di cui mio fratello è stato istruttore.

Ho iniziato con le classiche “garette” di mtb in provincia per poi partecipare alle più importanti gran fondo ( circuito Gatorade nei primi anni 2000, Dolomiti SuperBike, etc)  poi posso dire di essere stata un “pioniere” nel mondo delle 24Ore in mtb .Queste ultime mi hanno aperto gli occhi sulle ultradistanze sia in mtb che su strada.

Quali passioni hai oltre alle due ruote? Raccontaci di Ausilia giù dalla sella, la tua vita a Lomello.

Giù dalla bicicletta, sono una ragazza del tutto normale. Fino al mese di febbraio di quest’anno ho assistito mio papà , purtroppo affetto da una grave patologia e devo dire che con gioia ho scelto di dedicare a lui tutto il tempo a disposizione. Il mio grande amore sono gli animali e ho una piccola “tribù” di mici a cui dedico molte attenzioni. Oltre al lavoro come impiegata in uno studio commercialista mi occupo l’azienda agricola di famiglia che seguo con mio fratello e dei miei studi all’università, direi che mi rimane davvero poco tempo per altro.

Ma, se devo essere sincera, appena posso scappo da Lomello in cerca delle “pendenze”, anche se vivere in un piccolo centro è la mia dimensione ideale.

Il ciclismo è uno sport di fatica, la tua passione per le corse “estreme” è la sublimazione del concetto di fatica, come sopporti lo sforzo?

A dir la verità per me lo sforzo è il vivere le difficoltà del quotidiano: un ambiente di lavoro in cui mi trovo come un pesce fuor d’acqua, i drammi che vicini o lontani accadono, le perdite, il confronto con un mondo competitivo e senza scrupoli. Questo è quello che realmente mi mette in difficoltà, le fatiche che vivo nelle gare estreme sono parte del sogno che inseguo e pertanto non le percepisco come tali, fanno parte del “gioco” che mi attrae e affascina.

Con la tua passione hai girato il mondo, qual è la parte del globo che ti ha più colpita?

Ogni luogo ha in sé fascino e magia. Potrei dirti che sono stata affascinata dalle nostre Alpi e Appennini , come dai villaggi in Mali oppure dalle steppe meravigliose della Mongolia. Io adoro la neve e, dunque, se dovessi scegliere un posto, sceglierei sicuramente l’Alaska per i suoi spazi straordinariamente puri ed immacolati

Hai partecipato a gare estreme a ogni lato del globo, quella più emozionante quale è stata?

Beh direi che mi devo ripetere, tra le tante gare ti cito l’Iditrod in Alaska, la più dura ed aspra ma sicuramente affascinante e gratificante esperienza della mia vita, assolutamente impagabile.

L’Iditarod si può definire una esperienza di full-contact con la natura, pedalare a -40 gradi è una prova quasi disumana. Cosa ti spinge a simili competizioni e che emozioni ti restano nell’anima?

La prima molla che mi spinge è sicuramente il mio essere istintiva, mi butto in un progetto con entusiasmo senza valutare prima l’effettiva fattibilità. Questo in realtà mi ha sempre premiata perché sono riuscita a fare cose che non avrei mai fatto altrimenti se fosse intervenuta la razionalità. Ad esempio ho partecipato alla Milano-Sanremo quando la mia max distanza percorsa era stata fino a quel giorno di una cinquantina di km. Ecco poi nel caso dell’Iditarod l’altra importante molla è stata la paura: la paura di dover ammettere a me stessa che non avrei avuto abbastanza fegato per provarci mi ha spinto a farlo. E la paura di dover ammettere che non avrei potuto farcela mi ha spinto a perseverare, lavorando sul mio corpo e sulla mia mente.

Le emozioni che mi restano nell’anima sono l’amore sconfinato per ogni attimo della vita e per le piccole cose che la rendono speciale.

Correre in Alaska costringe ad una ricerca e ad una selezione rigorosissima dei materiali, come ti organizzi per una gara simile

Una gara come l’Iditarod richiede davvero molte attenzioni perché svolgendosi in un ambiente estremo nulla deve essere trascurato e la scelta dei materiali è fondamentale. Ci si organizza testandoli in un ambiente che necessariamente è diverso da quello che si troverà là ma che permette di prendere confidenza con quello che si troverà là: così per il vento io e Sebastiano ci siamo allenati nei giorni di bora a Trieste, per i bivacchi abbiamo scelto le località sulle Alpi statisticamente più fredde e così via.

Durante corse cosi lunghe non ti capita mai di pensare: basta non ce la faccio più?

Non mi è mai successo di pensare :Basta. O meglio a volte è successo che fosse il fisico a dirlo, ma lì è sempre intervenuta la mente a suggerire che qualche ora di riposo avrebbe fatto scomparire quella sensazione. Quando si vive il sogno che hai inseguito la stanchezza fisica è certo una componente importante ma la vivo come una componente essenziale per il raggiungimento del successo. Poi ritengo che la buona sorte sia una componente essenziale, senza di quella il traguardo a volte non si può davvero raggiungere.

La tua avventura è immortalata in Crisp “In search of a shared land”… che effetto ti ha fatto essere immortalata in un documentario cosi intenso?

Prima del film, ci era capitato di fare qualche serata nella quale si proiettavano le riprese fatte in gara. Poi Filippo Salvioni, giovane promettente regista nonché grande amico ci ha convinto che fosse una buona idea illustrare la mia storia di donna “di pianura” non atleta ma spinta da grandi motivazioni.

Segui degli allenamenti particolari durante la settimana, come fai a unire allenamento e lavoro?

Durante la settimana faccio solo degli allenamenti di spinning e concentro le uscite nel fine settimana .

Cosa ti ha insegnato la MTB in questi anni?

La mtb mi ha dato moltissimo in termini di esperienze ed amicizie. Ho conosciuto persone straordinarie, ho visto posti meravigliosi, ho goduto ogni istante nella sua magia: come unico ed irripetibile. E’ una gran cosa!